Si può arrivare al sole in cinquanta passi?

Il futuro non è unità di misura del tempo, ma dell’immaginazione e dei sogni. 

Nel film “1492: La conquista del paradiso” di Ridley Scott, Cristoforo Colombo, vecchio e sconfitto incontra il tesoriere di Spagna che lo rimprovera di essere un sognatore, un idealista. Allora Colombo gli mostra le città, i palazzi, le grandi e piccole opere e gli domanda che cosa vede.

“La civiltà” risponde il tesoriere. “Ebbene” conclude Colombo,

tutto questo è stato creato da idealisti come me. 

Occorre immaginare un mondo nuovo per trasformare la realtà. Operare nella fantasia, fare progetti, inventare nella mente, avere degli ideali. Il sogno come premessa alla realtà, come invenzione del futuro. Sogno che abita gli spazi della quotidianità e si scontra con quella che è la peggior forma di ostracismo al cambiamento: la burocrazia. 

Si può burocratizzare tutto, anche il futuro. Il burocrate è un abile lavoratore di cose inutili, ma purtroppo necessarie; è uno capace di lavorare dimostrando a tutti di darsi da fare come un forsennato. 

Ha pochi ma saldi principi da cui non deroga mai: non decidere e muovere carte (non scrivere mai niente). In pratica far finta di risolvere un problema ed usare l’esperienza ed il sapere comunque accumulato come barriera al fare. Il sapere, se non è attaccato ad una emozione vera, è puramente decorativo, burocratico, non provoca meraviglia; diviene puro ornamento al nostro non fare. Magari è utile per individuare ogni tanto qualcuno che fa un errore in maniera da avere una salvezza provvisoria e poter dire che era evidente che sarebbe finita così. 

Il burocrate ama l’immobilismo. Farsi vedere poco in giro è un’altra delle sue caratteristiche principali: non metterci mai la faccia direttamente e lasciare che gli altri lo facciano per lui. Una sorta di chiusura su se stessi evitando accuratamente di desiderare, sognare, far progetti e cercare di realizzarli, terrorizzato come è dal pericolo del fallimento. 

Purtroppo per gli altri (azienda, colleghi, comunità) il costo dell’inutile è altissimo e l’unica cosa che dovremmo odiare è proprio questo immobilismo. Perché rappresenta la morte per le nostre aziende, per la nostra squadra, per i nostri sogni e desideri. L’immobilismo ha la stessa funzione del tasto “Pausa” (stand by): lascia tutti in attesa e poi riprende esattamente dallo stesso punto senza tenere conto dei piccoli cambiamenti, delle piccole variazioni quotidiane che poi alla lunga fanno la differenza. Quelle piccole differenze, quei piccoli sogni nati spesso da un rito solitario e che provi, usando la tua faccia, a far diventare un rito collettivo. 

Quelle piccole differenze, quei piccoli sogni che non servono a scatenare una rivoluzione, a compiere gesti eclatanti, ma a far emergere il paziente e impegnativo lavoro di prendersi cura degli altri prendendosi cura di sé stessi, impegnandosi a far durare le cose, a farle emergere dal torpore della pigrizia e dalla stagnazione dell’immobilismo. Insomma il paziente lavoro di far accadere le cose, di dar vita ai sogni. Sogni che provi ostinatamente a condividere, a far crescere, ai quali dare spazio all’interno di un mondo di scettici sapienti. 

Il futuro non è unità di misura del tempo, ma dell’immaginazione e dei sogni. 

La nostra vita è fatta di mattoni di quotidianità impastati di gesti, di desideri, di sogni, di intenzioni, atti di volontà, rivelazioni, pregiudizi, ragioni, di ricerca dei compagni di viaggio. Mettendo in gioco questo miscuglio e portandolo avanti con la volontà di creare piuttosto che di fermare (al contrario dei burocrati) diventiamo dei messaggeri, degli untori … In pratica attiviamo una epidemia sana, diventiamo degli agenti capaci di “infettare”, di spandere la voglia del fare, di aggregare. Una sorta di epidemia organizzativa fatta di messaggi e comportamenti che si spandono grazie alle persone che se ne fanno portatrici e che con l’esempio e con i loro desideri sono capaci di trascinare gli altri. 

Il sistema immunitario (i burocrati) può sicuramente tentare di bloccare questa epidemia contagiosa, ma nulla può contro la novità, il cambiamento, la rapidità di esecuzione ed il passaparola informativo. Tutto ciò è possibile se il contesto permette all’epidemia di propagarsi, di trovare spazio e crescere. Il contesto è frutto dei nostri sforzi, della nostra voglia di rompere le regole lasciando che il virus si diffonda riconoscendogli la sua forza creatrice. 

Possiamo intendere tutto questo come desiderio di “andare oltre” il dato, l’informazione, di trascendere il noto e l’acquisito, di tornare a quel sentimento di meraviglia e di stupore che è all’inizio della ricerca di senso per tutti gli aspetti, banali e non, della vita. Questo desiderio si diffonde attraverso l’uso e la contaminazione di differenti percorsi: letteratura, cinema, musica, pittura. Strade parallele che riciclano ognuno con la propria specificità i medesimi temi. Spesso però questi percorsi non sono più paralleli, si incrociano creano dei varchi, l’uno può invadere l’altro, creando scompigli, equivoci, situazioni paradossali, umoristiche e drammatiche. Allora è necessario lasciare sprigionare da questi varchi tutta l’energia accumulata, lasciare che la contaminazione pervada e che ci sia un continuo flusso di energia tra un’attività e l’altra, unica condizione per fare del cambiamento un nuovo modello di sviluppo che tutti vogliono affermare, far crescere e sviluppare. 

Per appropriarsi di un sogno non è sufficiente visualizzarlo, afferrarne i contorni: bisogna anche viverlo, sentirlo sulla pelle, soffrirlo, patirlo, insomma sentirsene minacciati; sentire cioè che i nostri abituali puntelli traballano vertiginosamente. Altrimenti, anche nel caso in cui afferrassimo pienamente la validità e la realizzabiltà dell’impresa, noi non ce ne saremmo appropriati, non lo avremmo realmente capito. 

https://www.youtube.com/watch?v=78AhpI0laT4

Yes, there are two paths you can go by / But in the long run / There’s still time to change the road you’re on / And it makes me wonder

A proposito. Immaginate che vi dia un pezzo di carta e vi chieda di piegarlo in due e poi di piegarlo di nuovo e così via per 50 volte. Quale spessore pensate si raggiunge? Quello di un elenco telefonico? O forse si raggiunge l’altezza di un frigorifero? In realtà si raggiunge all’incirca la distanza tra la terra ed il sole e, se vi va di piegarlo ancora una volta, fate anche il viaggio di ritorno. Si va verso il sole con soli cinquanta semplici passi.