Scarsità – Abbondanza

Scarsità e abbondanza

Continuazione.

Aggiungiamo due puntini al nostro percorso.

 Siamo di fronte a una doppia crisi contraddittoria: abitiamo in un mondo dove il mantra è “Il troppo” e, oggi, più che mai, combattiamo la nostra vita cercando di destreggiarci tra i due estremi di questo troppo:  

 ·     il troppo poco (scarsità) 

·     il troppo (abbondanza).

 Proviamo a capire. Due spettri aleggiano e ci rendono ‘vulnerabili’ nel ventunesimo secolo: quello legato alla catastrofe ecologica e l’altro dovuto all’automazione. La paura del cambiamento climatico è una paura di avere troppo poco (scarsità): una scarsità di risorse naturali, la perdita di terreni agricoli e di ambienti abitabili – nonché la convinzione, ormai diffusa, della scomparsa di un pianeta Terra capace di sostenere la vita umana; la paura dell’automazione, invece, rappresenta, esattamente il contrario, essendo una paura del troppo (abbondanza): temiamo un’economia completamente robotizzata capace di produrre così tanto, ma con così poco lavoro umano, tanto da portare a breve, di non avere più necessità di lavoratori. È un’evoluzione in negativo di quello che avevamo immaginato negli anni 80 quando l’acronimo PAM (Più A Meno) era visto in maniera positivo: avremmo prodotto di più con meno risorse. Non avevamo tenuto in conto, però, che tra le risorse di cui si poteva fare a meno era da includere anche il ‘lavoro umano’. Oggi, e sempre di più nel futuro, si può produrre molto, ma molto di più con sempre meno bisogno di ‘persone’ in ogni settore produttivo: stiamo scoprendo che l’automazione e la computerizzazione stanno cominciando a raggiungere le industrie professionali e creative, quelle che nel PAM si pensavano escluse da questo processo, minacciando i posti di lavoro degli stessi giornalisti del settore.

Questa tensione non è affatto nuova. Il racconto popolare John Henry e il martello a vapore, nato nel diciannovesimo secolo, descrive un operaio delle ferrovie che cerca di gareggiare contro un trapano a motore e vince – solo per cadere, però, morto per lo sforzo. Una storia resa celebre anche da Johnny Cash e immortalata in una canzone, il cui testo, è semplicemente profetico.

L’ansia per la tecnologia che fa risparmiare lavoro è una costante in tutta la storia del capitalismo. Al solito, quando i lavoratori sono scarsi e soprattutto quando chiedono salari migliori e strutture e ambienti di lavoro ‘decenti’ la prima reazione dei ‘capitalisti’ è spostare le attività in luoghi ‘meno’ conflittuali; immediatamente dopo si pensa a come sostituire le persone con macchine. Il COVID accelera questo fenomeno. Il capitalismo sta saltando su questa nuova variabile, il lavoro in fondo, deve andare avanti a dispetto della pandemia per cui fioccano i progetti di automazione di fabbrica con l’obiettivo di sostituire operai con robot e personale amministrativo con sistemi di IA evoluti.  I giornali, nel frattempo, sono pieni di annunci di industriali che gridano ai quattro venti: stiamo riportando le fabbriche nel nostro paese! Vero, ma non dicono che questo è possibile solo grazie al fatto che è proprio l’automazione a far diventare il costo del lavoro non più la variabile ‘inefficiente’ da ottimizzare con evidenti ripercussioni sull’occupazione. Gli stessi giornali riportano, con gli stessi titoloni, le proteste degli operai licenziati (spesso tramite invio di sms o con una videoconferenza collettiva) perché la loro azienda ha deciso di trasferire all’estero la produzione pur non essendo le fabbriche in crisi. Aziende che erano arrivate in Italia spinte dagli incentivi statali per favorire l’occupazione e che adesso si spostano in quei Paesi dove forniscono incentivi all’automazione con l’unico obiettivo di aumentare ancor di più i profitti.

Nella maggioranza dei casi ad essere entusiasti sono sempre i ‘soliti noti’, quelli che sono dalla parte giusta del tavolo e che promettono un futuro radioso (pur guardandosi bene dal dire quanto nel futuro) grazie proprio a queste tecnologie; tanti, nell’attesa, ci lasciano le penne ma questo è, per loro solo uno spiacevole e inevitabile effetto collaterale. Naturalmente, questo è il tipo di argomentazione che può essere fatta solo da qualcuno su una torre (in genere accademica), capace di ignorare il dolore e lo sconvolgimento causato ai lavoratori che vengono licenziati e che, possano o meno trovare un nuovo lavoro. In fondo, per questi, cosa c’è di meglio di un bel percorso di formazione e di riqualificazione? Questi sono proprio quelli che se gli fai ascoltare la bellissima ballata di Bruce Springsteen: Jack of all Trades restano in silenzio e fanno spallucce. Una ballata che, in fondo, è una versione moderna della leggenda di John Henry. Qui non c’è una gara contro la tecnologia, ma una semplice considerazione: “Io ho fatto sempre il mio dovere e seguito tutte le indicazioni che i capi mi hanno dato; perché adesso licenziate me e i miei capi che hanno preso le decisioni sono sempre al vertice?

La premessa di questi ottimisti dell’automazione è che entro pochi decenni potremmo vivere in un mondo simile a Star Trek dove, come ha detto Kevin Drum su Mother Jones.

“…I robot possono fare tutto ciò che gli umani possono fare, e lo fanno senza complicazioni, 24 ore al giorno… la scarsità di beni di consumo ordinari è una cosa del passato”.

Quello che andrebbe sottolineato è che non è importante che tutto venga fatto dai robot, ma che è sufficiente che una grande quantità del lavoro attualmente svolto dagli umani lo sia. Giusto qualche esempio:

La sfida che abbiamo davanti a noi è: siamo capaci di affrontare una crisi di scarsità e una crisi di abbondanza allo stesso tempo? Paul Krugman è forse la persona più importante che ha dato voce a questi dubbi. Il problema più profondo dell’analisi tradizionale è che questa pone il processo come un’inevitabilità scientifica quando in realtà è una scelta sociale e politica. Penso ancora che valga la pena parlare di ciò che un futuro più altamente automatizzato possa significare per tutti noi. Contrariamente agli scettici, penso che la possibilità di un’ulteriore tecnologia di risparmio del lavoro si stia sviluppando rapidamente, anche se non sta ancora trovando la sua strada nell’economia in un modo che si riflette nelle statistiche di produttività. Ed è anche perché, se l’ostacolo a breve termine dell’economia dell’austerità e dell’insufficiente stimolo governativo viene superato, ci troviamo ancora di fronte alla questione politica che abbiamo affrontato fin dalla rivoluzione industriale: le nuove tecnologie di produzione porteranno ad un maggiore tempo libero per tutti, o rimarremo bloccati in un ciclo in cui degli aumenti di produttività beneficiano solo pochi, mentre il resto di noi lavora più a lungo che mai o non lavora assolutamente? Che ruolo ha la paura? Quale sarà il significato della sconfitta e perché mai il mercato amerà sempre di più i perdenti?