Provocazioni Manageriali: La bellezza dell’Ambizione

L’ambizione (da àmbito, la cui radice greca significa anche apertura alare) altro non è che la distanza massima tra un’ala e l’altra; in altre parole: ambizione è quanto si riesce ad estendere le proprie ali. Se non si aprono mai le ali, non si può imparare a volare, ma se si aprono troppo, si rischia di schiantarsi al suolo, come spesso accade a chi vola troppo in alto. 

Ambizione evoca anche un altro significato legato al passato: il viaggio che i regnanti intraprendevano ogni anno per delimitare il perimetro del proprio territorio (“non tutto è mio, ma quello che è mio lo coltivo, l’alimento”). 

Per cui avere un’Ambizione, coltivarla e metterla in pratica, significa almeno essere in grado di porsi costantemente due domande: l’obiettivo è alla portata della mia apertura alare? Ho il diritto di rivendicare questo territorio? 

A differenza degli uccelli, noi possiamo aumentare la nostra portata alare, possiamo irrobustire le nostre ali, renderle più potenti durante tutta la nostra vita .Si lo possiamo fare! E questo, troppo spesso, rende la nostra ambizione una corsa verso l’egoismo più sfrenato, verso la conquista di territori sempre più ampi.

Le nostre ali si potenziano con la cultura, con la conoscenza, con la voglia di crescere sempre più,  ma senza una sincera disposizione a condividere e donare agli altri è un costruire temporaneo, niente di duraturo. Un modo semplice di tenere a freno la nostra ambizione smisurata è riempire il perimetro del nostro territorio con ‘cose belle’, dare spazio all’arte, alla capacità di trovare la bellezza nei gesti quotidiani, unica possibilità per costruire senza lasciare macerie.  

Impariamo a costruire contenitori dove accogliere gli altri (proposte, idee, sforzi) non perché facciano crescere il nostro territorio, ma semplicemente perché cresca il loro di territorio.

Per cominciare, non ci vuole molto, un piccolo impegno, piccoli e sinceri gesti di bellezza continui sono sufficienti, p.e. un generoso e franco buongiorno entrando in ascensore, invece di guardare per terra in attesa di arrivare alla meta, al proprio piano; in questo modo diamo valore anche al contenitore ‘ascensore’  e soprattutto al suo contenuto umano.

Una catena formata da molti anelli che partono da conoscenza e consapevolezza: esattamente in quest’ordine. Si acquisisce conoscenza e questa dà consapevolezza delle proprie possibilità in relazione a ciò che si fa o si vuole intraprendere. Così le nostre possibilità diventano il territorio da coltivare, la nostra forza per librarsi in volo. 

Solo in questo modo è possibile non accontentarsi del riso lasciato da qualcun altro (che pur sfama e dà un minimo di sicurezza, un alibi) e di vivere non delle feste degli altri, ma costruendo la propria.  Per chi sta costruendo il contenitore Eleanor Rigby? Quale Festa sta aspettando? Stare sempre alla finestra in attesa significa essere spettatori non protagonisti della propria vita.

Eleanor Rigby, raccoglie il riso/nella chiesa dove c’è stato un matrimonio,/vive in un sogno/aspetta alla finestra, indossando il volto/che tiene in un barattolo vicino alla porta/per chi è?