Tele-migranti- Smart working -Intelligenza remota

Tele-migranti- Smart working -Intelligenza remota

Amelia  lavora all’help desk online e telefonico della banca svedese SEB. Bionda e con gli occhi azzurri, come ci si potrebbe aspettare, ha un portamento sicuro, addolcito da un sorriso leggermente consapevole. Sorprendentemente, Amelia lavora anche a Londra per il Borough of Enfield e a Zurigo per UBS. Amelia può imparare un manuale di trecento pagine in trenta secondi, può parlare venti lingue e può gestire migliaia di chiamate contemporaneamente. Amelia è un “robot per colletti bianchi“.

Un passo indietro. Oggi siamo tutti presi dal dibattito sullo ‘smart-working’ e sulla rivoluzione che, grazie alla pandemia, questa modalità di lavoro sta portando nelle vite di tutti noi. Siamo tutti concentrati sulla parola ‘smart’ e per niente preoccupati sul cosa significhi oggi ‘working’.  Gli esperti hanno discusso al lungo su una serie di trasformazioni del concetto di lavoro ed in particolare di come le nuove generazioni (e non solo) dovevano abituarsi a convivere con la precarietà del lavoro. Imparare ad essere flessibili era la raccomandazione che veniva elargita ai ragazzi (e non solo) in cerca di lavoro. Tutto era precario dicevano quelli che stavano seduti dalla parte giusta del tavolo. In fondo anche la dieta del momento segue la stessa filosofia:

sarà un caso che la dieta di questo periodo si chiama digiuno intermittente?

Quello che sta accadendo che a diventare precarie sono oggi le aziende che vedono i lavoratori saltare da un’azienda all’altra in continuazione.

Fino a poco tempo fa, la globalizzazione era un problema per le persone che producevano cose. La globalizzazione e l’automazione del passato riguardavano soprattutto le merci: produrle e spedirle. Erano quindi in definitiva limitate dalle leggi della fisica che si applicano alle merci (materia). L’automazione era una minaccia per le persone che facevano le cose con le mani, non con la testa. I nuovi lavori nascevano nei settori dei servizi perché erano aree che, in quel momento, erano al riparo dall’automazione e dalla globalizzazione. L’emigrazione aveva cambiato direzione.

Prima bisognava allontanarsi dalla propria dimora per cercare lavoro e quindi c’era uno spostamento fisico del lavoratore. Oggi è il lavoro che emigra verso il domicilio dello specialista (smart-working?). E qui nasce una bella decisione:

perché non farsi inseguire dal lavoro e emigrare verso posti ameni con costo della vita basso e, meglio ancora, con ampi sgravi fiscali? 

Oggi, questa ondata di ‘nuova’ globalizzazione si presenta sotto forma di tele-migranti che lavorano nei nostri uffici. L’industria li chiama “lavoratori digitali”, ma in realtà non sono altro che software per computer: Amelia appunto. La globalizzazione dovuta all’automazione dei servizi grazie a sofisticati sistemi robotici prende il nome di GLOBOTICA. La globotica è quindi in definitiva legata alle leggi della fisica che si applicano agli elettroni e ai fotoni, non alla materia. Questo ha generato una classe di ‘lavoratori’ che sarebbe il caso di chiamare tele-migranti. Si tratta di lavoratori stranieri altamente qualificati e a basso costo che lavorano (virtualmente) nei nostri uffici.

Ai vecchi tempi – il che significa il 2015 sul calendario digitale – la barriera linguistica e i limiti delle telecomunicazioni limitavano la tele-migrazione a pochi settori e paesi. I freelance stranieri dovevano parlare un “inglese abbastanza buono” ed erano limitati a compiti modulari. Lavoratori che riuscivi a ‘trovare’ tramite piattaforme specializzate. Per esempio usando Upwork potevi e puoi assumere ingegneri, data scientist, programmatori da Lahore, Pakistan, Ucraina, Polonia, Vietnam, India super specializzati. Upwork, molto democraticamente, permetteva e permette alle aziende di qualsiasi dimensione di attingere a capacità ed energie latenti in tutto il mondo con la conseguenza immediata che i nostri esperti (locali) affrontavano e affrontano una concorrenza salariale diretta e internazionale con poche possibilità di contrastarla.

Fino a poco tempo fa i tele-migranti erano diffusi e ingaggiati per lo sviluppo di applicazioni e in alcuni lavori di back-office, ma poco altro. Ora le cose sono molto diverse e principalmente questo è dovuto a due fattori:

1)La traduzione automatica e lo tsunami di talenti

La traduzione automatica ha scatenato uno tsunami di talenti. Da quando la traduzione automatica è diventata mainstream nel 2017, chiunque abbia un computer portatile, una connessione internet e delle competenze può potenzialmente tele lavorare negli uffici statunitensi ed europei. Le sole università cinesi laureano otto milioni di studenti all’anno, e molti di loro sono sottoccupati e sottopagati in Cina. Ora che possono tutti parlare un “inglese abbastanza buono” tramite Google Translate o software similari anche per i ‘talenti’ nelle nazioni ricche si prospetta una concorrenza totale. Naturalmente, internet funziona in entrambi i sensi, quindi i professionisti più competitivi delle nazioni ricche troveranno più opportunità, ma per i meno competitivi, è solo più concorrenza salariale. 

2) le scoperte nel campo delle telecomunicazioni, come la telepresenza e la realtà aumentata, stanno facendo sembrare i lavoratori remoti meno remoti. 

Questa nuova concorrenza della “Intelligenza remota” (RI) si sta accumulando sui lavoratori del settore dei servizi nello stesso momento in cui essi stanno affrontando la nuova concorrenza dell’intelligenza artificiale (AI)

Un esempio è propria Amelia: la concorrenza a salario zero dei computer pensanti. Amelia e i suoi simili non aumentano in maniera esponenziale la produttività del lavoro: Sono progettati per sostituire i lavoratori; questo è il modello di business. Questa nuova classe di lavoratori è diversa per due grandi ragioni: sta arrivando in modo disumanamente veloce, ed è un infaticabile tele-migrante globale. La prima conseguenza è che Globotics sta iniettando pressione nel nostro sistema socio-politico-economico (attraverso lo spostamento di posti di lavoro) più velocemente di quanto il nostro sistema possa assorbirla (attraverso la sostituzione dei posti di lavoro).  E intanto, continuiamo a parlare solo di ‘smart’.